Un setting per la Floriterapia di Bach
Un setting per la Floriterapia di Bach (1999) di Michele Iannelli
Michele Iannelli è medico chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta (psicoterapia psi-coanalitica), floriterapeuta, riflessologo.
La Floriterapia di Bach, nel suo uso più “nobile”, agevola potentemente un percorso che porta ad una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie modalità di relazione con l’ambiente, ad una attivazione delle proprie virtù ed, in ultima analisi, ad una migliore qualità della vita; ciò avviene tramite una relazione terapeuta -paziente che deve essere necessariamente modulata e regolamentata: tali regole e parametri costituiscono dunque il “setting” della relazione terapeutica inteso come contenitore, scenario e direzionalità del percorso. M. Iannelli (1999)
“Gli eredi di Freud non sono i fumosi ideologi che adoperano spettacolarmente la psicoanalisi come una gomma americana ma i terapeuti che, con pazienza, aiutano qualcuno a vivere un po’ meglio”. Claudio Magris in“Danubio”, Garzanti editore
I rimedi floreali di Bach possono essere assunti dal paziente o nella forma cosiddetta pura, cioè direttamente dalla stock bottle oppure tramite la classica diluizione. Le due possibilità sono a volte utilmente complementari, ma hanno effetti spesso notevolmente diversi l’una dall’altra. I fiori di Bach nella forma diluita svolgono una indubbia funzione di efficacia e profondi attivatori, catalizzatori e promotori di una serie di processi virtuosi che possono essere sintetizzabili nel concetto di aumento della consapevolezza di sé.
Alla luce del modello Biopsicosintetico proposto da Roberto Assagioli, possiamo ipotizzare che i rimedi floreali diluiti agiscano sulla emozionalità individuale ed archetipale della persona. Possiamo, infatti, ritenere che essi, prescritti sulla base di stati emozionali negativi attuali, aumentino la potenza di quelle stelle che lo psichiatra toscano, immagina essere presenti in un luogo denominato Inconscio Superiore. Questa costellazione è formata da astri i cui nomi sono audacia, coraggio, comprensione, bontà, volontà cioè una costellazione formata da una serie di energie positive le quali, in alcuni casi possono essere bloccate o indebolite da interferenze determinate da complessi conflittuali o da sovrastrutture nozionistiche e/o sub-culturali.
È lecito presupporre che aumentando le qualità positive si creano condizioni che permettono una cascata di eventi che mettono in moto un circolo virtuoso.
Il sentirci più dotati di capacità positive ci permette di accedere al cosiddetto inconscio medio e a quello inferiore e, quindi, di far piano, piano riemergere alla coscienza i contenuti conflittuali e complessuali rimossi sia nella loro componente di pensiero che in quella emozionale. Si liberano così energie che, invece di essere utilizzate per “tenere a bada” il rimosso, vengono messe al servizio di un io che diventa così sempre più forte, consapevole e collegato con l’io ed il sé superiore, cioè con gli aspetti più genuini, profondi e solari della persona. L’emozionalità quindi, si positivizza, il pensiero può e deve fare altrettanto; cioè si cominciano a produrre azioni positive che apportano a loro volta forza e positività alle emozioni e ad il pensiero. Si attiva così attraverso la consapevolezza quel circolo virtuoso che gradualmente, fisiologicamente e profondamente struttura un io forte in quanto consapevole ed attivo, un io sempre più efficace e valido coordinatore al servizio delle strategie esistenziali del vero sé. In ultima analisi, si percorre una strada che porta ad un’evidente e sostanziale miglioramento della qualità della vita. La persona si sente disintossicata emozionalmente, si libera da antichi lacciuoli ed impedimenti, nuove energie si mettono al servizio di progetti realistici ed entusiasmanti. Nuove idee, nuove possibilità, nuove prospettive ampliano i gradi di visuale della persona, nuove ottiche permettono di vedere la realtà da più prospettive, tutto diventa più chiaro, più semplice e più congruo a sé stessi, diminuiscono le penosità e le pesantezze. Che tutto ciò descritto avvenga e che sia catalizzato indiscutibilmente dalle diluizioni dei rimedi floreali è chiaramente sotto gli occhi dei due protagonisti del percorso e cioè il terapeuta ed il paziente: l’aumento in termini quantitativi e qua-litativi (a volte impressionante) dei ricordi onirici, il riaffiorare di contenuti cognitivi ed emozionali ormai da tempo sepolti, lo scoprirsi, quasi improvvisamente, dotati di qualità e capacità a volte semplicemente intraviste o frustrate, a volte del tutto misconosciute, rappresentano alcuni degli aspetti visibili in maniera incontrovertibile di quello che nei momenti più intensi assume la corposità di una “crisi di consapevolezza”. Essa è la visibile e percepibile manifestazione epifenomenale della ristrutturazione, armonizzazione ed evoluzione della personalità del paziente. Tale percorso, più o meno lungo più o meno gioioso e/o doloroso avviene necessariamente tramite, anche, ad una relazione terapeuta – paziente. Ciò che nella vita quotidiana fa di un incontro una relazione è un insieme di regole implicite ed esplicite, ciò che nella fattispecie fa di un incontro una relazione terapeutica è un insieme di regole che costituisce un corretto “Setting”. I dizionari di lingua inglese ed americana danno numerose traduzioni della parola setting, esse hanno in comune, comunque, alcuni concetti che possono essere utili per poter chiarificarci in parte su che cosa è il setting terapeutico e quale è la sua funzione. Questi concetti sono relativi a ciò che dà forma, posizione, direzionalità, scenario, ambientazione, contenimento ad un qualcosa che scorre e procede. Possiamo quindi definire nel nostro caso il setting come una strutturazione di un campo nel quale scorre e procede un processo terapeutico. Come, per esempio, qualsiasi esperimento scientifico ha bisogno di un campo strutturato da variabili e condizioni per poter avere luogo e significatività, così il setting viene a rappresentare il campo strutturato all’interno del quale ha luogo un percorso terapeutico in genere e floriterapeutico nello specifico.
È il campo strutturato che permette alla relazione terapeutica di attivarsi nei suoi aspetti più concreti e in quelli più impalpabili ma a maggior ragione importanti quali l’empatia e l’accoglienza, e quindi l’alleanza terapeutica, la neutralità e quindi la libertà del paziente, la possibilità di una relazione adulta. Come negli esperimenti scientifici gli strumenti consciamente usati e le variabili consciamente introdotte permettono di fare osservazioni significative così regole e parametri regolamentati che costituiscono il campo strutturato della relazione terapeutica permettono di dare significatività a ciò che succede consentendo al paziente di acquisire consapevolezza di sé. È quindi la strutturazione del campo che da significatività al comportamento della coppia paziente – terapeuta. Ed è, quindi, la strutturazione del campo che impedisce il rischio che gli interventi del terapeuta siano l’espressione di un totale e sterile soggettivismo. Il setting con le sue regole ufficiali e condivise è paragonabile ad uno “scenario e scacchiera 1”cioè un sistema artificioso che assume il ruolo ed il significato di rappresentante delle regole del mondo reale. Il sistema delle regole di funzionamento del soggetto -paziente, derivanti dalla sua storia, dalla sua personalità e dalle sue problematiche è paragonabile ad una sorta di “scenario e scacchiera 2”. Il setting è inoltre, attivatore di uno “scenario e scacchiera 3” cioè della relazione terapeutica duale. Il sistema specifico delle regole del soggetto (lo scenario e la scacchiera 2) si può estrinsecare e confrontare in e con un ambito protetto e controllato (scenario e scacchiera 1) con grosse possibilità di presa di consapevolezza, in quanto lo“scenario e scacchiera 3” cioè la relazione terapeutica è connotata da un “alto voltaggio” emotivo. È ciò che da forma, posizione, direzionalità , scenario, ambientazione, contenimento ad un qualcosa che procede.
CIRCOLO VIRTUOSO
Una strutturazione del campo nel quale scorre e procede un processo terapeutico.
CONCETTO DI SETTING TERAPEUTICO
Il setting con le sue regole ufficiali e condivise è paragonabile ad uno“scenario a scacchiera 1”, cioè un sistema artificioso che assume il ruolo ed il significato di rappresentante delle regole del mondo reale.
“Scenario a scacchiera 2”: sistema di regole del soggetto – paziente derivanti dalla sua storia ,dalla sua personalità, dalle sue problematiche. Setting, quindi, attivatore di uno“scenario e scacchiera 3” cioè della relazione terapeutica duale. Il sistema specifico delle regole del soggetto (“scenario e scacchiera 2”) si può estrinsecare e confrontare in e con un ambito protetto e controllato (“scenario e scacchiera 1” ) con grosse possibilità di presa di consapevolezza in quanto la relazione terapeutica duale è caratterizzata da un”alto voltaggio” emotivo.
SETTING: ATTIVAZIONE DI CONSAPEVOLEZZA
Il setting permette alla relazione terapeutica di attivarsi nei suoi aspetti più concreti ma anche in quelli più impalpabili quali: l’empatia, l’accoglienza, l’alleanza terapeutica, la neutralità, la libertà del paziente, il livello adulto della relazione.
Le variabili che portano alla strutturazione di un setting in floriterapia sono numerose e complesse. Esse sono relative al retroterra, culturale e scientifico del terapeuta (per esempio impostazione psicodinamica, cognitivista, umanistico esistenziale, bioenergetica, eventuale integrazione di farmaci omeopatici, omotossicologici e quant’altro). Altre variabili derivano dalla domanda e dalle caratteristiche del paziente. Queste ultime sono relative al suo livello di funzionamento dell’io, ai suoi obiettivi, alle sue possibilità economiche, temporali, al suo livello culturale, alle caratteristiche specifiche di orario di lavoro. Altre, ancora, sono determinate dal luogo della terapia per esempio studio privato, studio convenzionato o struttura pubblica. La variabile introdotta dall’assunzione della diluizione dei Rimedi Floreali di Bach, risulta essere di enorme importanza nella strutturazione del setting. Proprio in virtù della loro funzione di catalizzatori, che esplicano la loro azione completa nel giro di un periodo che va secondo l’esperienza dai 25 a 30 giorni, essi possono influenzare molto il parametro relativo alla frequenza dei colloqui terapeutici. L’esperienza ci suggerisce che si può fare un ottimo lavoro anche con sedute con frequenza circa mensile. Si comprende chiaramente come ciò rappresenti un notevole risparmio in termini finanziari e di tempo per il paziente. L’uso dei fiori di Bach diluiti associati a volte con l’uso dei rimedi puri, inoltre, aiuta a rendere ancora più flessibile il setting alla luce dei bisogni reali e del qui ed ora del paziente. Possiamo quindi affermare che i fiori di Bach rappresentano un ulteriore potente mezzo per attuare una medicina in genere, ed un setting in particolare, che tenga sempre più presenti concetti quali flessibilità, olisticità, umanizzazione e personalizzazione. Una medicina (e quindi un setting) che sia sempre di più al servizio e “su misura”della persona disagiata e sofferente e sempre meno predeterminata da dogmi, schemi teorici rigidi, preconfezionati e pregiudizievoli.
Una medicina umana anche nel senso che renda il paziente il protagonista principale del suo percorso terapeutico.
L’alto livello di personalizzazione, di flessibilità e diversificazione del setting deve essere accompagnato dalla irrinunciabile presenza di alcune caratteristiche essenziali che tutti i setting devono possedere. Il setting, infatti, deve essere stabile, definito, condiviso, garantito dal terapeuta. Il setting con le sue regole e parametri una volta individuato deve rimanere stabile per tutto il corso della terapia; sono infatti sconsigliabili cambiamenti in corso d’opera. Esso deve essere ben definito in quanto elementi non chiaramente definiti non sono strutturanti e quindi non hanno la capacità di presentare i dati della relazione terapeutica nella loro incontrovertibilità. Il setting, inoltre deve essere condiviso; un setting, infatti esistente solo nella mente del terapeuta o imposto sarebbe solo un “nonsense” fuorviante. La definizione e la condivisione si attuano nel comunicare alla fine del colloquio o dei colloqui preliminari chiaramente le regole da parte del terapeuta con una conseguente accettazione da parte del paziente. Possiamo, infatti, dire che per giocare bene occorre che i giocatori conoscano le regole del gioco e che le accettino. Anche se, paradossalmente, le regole servono ad evidenziare aspetti strutturali del paziente proprio nel suo stile non solo di accettazione ma anche di trasgressione di esse. Il terapeuta, infine, pur essendo protagonista anch’esso della relazione dove deve svolgere la funzione di garante del “mantenimento” del setting operando come “io adulto”. Alcune regole del setting, derivano direttamente dal retroterra culturale del terapeuta. Per esempio, un terapeuta potrebbe usare nell’ambito di un iter floriterapeutico la regola delle libere associazioni di chiaro stampo psicoanalitico. Un aspetto da evidenziare è quello specifico della assunzione del composto diluito dei fiori di Bach da assumere al dosaggio standard di 4 gocce 4 volte al giorno. Tale aspetto, pur non facendo parte in senso stretto del“setting”, assume una importanza del tutto peculiare. Da una parte possiamo accennare, per esempio, all’aspetto dell’assunzione dei rimedi come metaforica continuazione del rapporto con il terapeuta durante il periodo che intercorre tra gli incontri, oppure come “oggetto transizionale”, aspetti questi che meriterebbero un approfondimento in altre occasioni. Dall’altra parte, è molto interessante osservare lo stile comportamentale ed emozionale del paziente rispetto alla“regola”delle 4 gocce 4 volte al giorno”.
Altri aspetti della relazione costituiscono parametri che vanno regolamentati; essi sono il luogo della terapia, la durata dell’incontro, la frequenza delle sedute, la posizione del terapeuta e del paziente, le assenze, le interruzioni, e l’onorario del terapeuta.
Il luogo della terapia: esso è la stanza dove avvengono gli incontri, è una degli elementi spazio temporali del setting come luogo ritagliato per poter permettere una riflessione su se stessi e per avviare un processo di cambiamento. La stanza degli incontri deve essere sufficientemente spaziosa, confortevolmente arredata con calore e sobrietà. Essa deve ritagliare uno spazio protetto che sia privo di interferenze acustiche o di altro tipo e che garantisca la “privacy” del paziente. La stanza deve essere sempre la stessa per ciascun paziente; è, ovviamente concepibile la fisiologica possibilità da parte del terapeuta di trasferire in un altro studio la sua attività, ma questa è una evenienza che si può attuare normalmente ogni 2 o 3 anni.
La durata dell’incontro: è un altro aspetto spazio temporale rilevante. È bene far durare gi incontri tra 50 e 55 minuti, lasciandosi uno spazio tra un paziente ed un altro. Da evitare prolungamenti, anche su richiesta. La frequenza delle sedute: questo rappresenta un parametro dipendente dalle caratteristiche del paziente e del tera-peuta ed è fortemente condizionato dall’uso dei fiori di Bach. L’esperienza, come già riportato, ci permette di affermare che si può fare un buon lavoro con una frequenza mensile.
La posizione del terapeuta e del paziente: in floriterapia appare consigliabile il vis a vis senza l’interposizione della scrivania. Questa posizione sottolinea e favorisce l’aspetto interrelazionale e relazionale dell’incontro e permette al terapeuta di osservare la globalità della comunicazione del paziente cogliendo gli aspetti non verbale e paraverbali di essa. Ovviamente sono possibili variabili derivanti dalla particolare impostazione culturale e tecnica del terapeuta (vedi per esempio il lettino nel caso della psicoanalisi o le manovre tipiche della analisi bioenergetica).
Le assenze: la questione assenze è estremamente delicata; essa va regolamentata. Il principio di base che deve vigere è che l’ora fissata dalla quale il paziente si assenta deve essere comunque pagata. Nel caso di lunghe malattie è possibile proporre interruzioni e anche nel caso di lunghe partenze per motivi di studio o di lavoro. Gli incontri mancati per responsabilità del terapeuta ovviamente non vanno pagati. Per quanto riguarda gli eventuali recuperi sarà bene farli richiedere dal paziente in caso di sua assenza o proporli direttamente in caso di assenza del terapeuta.
Le interruzioni: quelle dovute a vacanze del terapeuta che corrispondono generalmente ai periodi di Pasqua, natalizi, ed estivi devono essere preventivamente comunicate al paziente, altrimenti potrebbero essere una variabile improvvisa vissuta malamente dal paziente. Se le ferie del terapeuta e del paziente non corrispondono perfettamente sarà bene rispettare la esigenza del paziente a costo di prolungare i periodi di interruzione.
L’onorario del terapeuta: anche questo è un problema delicato. Esso riguarda da una parte l’ovvio e concreto bisogno del terapeuta di sostentamento e ripagamento rispetto al proprio impegno, dall’altra parte l’aspetto terapeutico del pagare. Il paziente deve pagare ragionevolmente (anche in relazione a quanto può permettersi) in quanto tale parametro rappresenta un elemento importante nella terapia. Esso, infatti, fa cogliere al paziente l’importanza, il valore, l’aspetto di investimento del lavoro che sta svolgendo. Il pagamento aiuta, inoltre, il paziente a porsi in una posizione“paritaria”e chiara nei confronti del terapeuta. Inoltre, un onorario, di un certo peso è uno stimolo, affinché, il lavoro intrapreso non sia interminabile. Ovviamente questo parametro risulta sempre più spesso condizionato e modificato da situazioni in cui entra in gioco un terzo elemento quale l’istituzione pubblica ed eventuali assicurazioni private. Questa introduzione di una terza componente dovrà essere presa ovviamente in considerazione per poter comprendere come assume significatività nell’ambito della relazione terapeutica.
Ci sono, infine, altre questioni che meritano di essere prese in considerazione e che riguardano il Tu/Lei, l’accettazione dei regali, le telefonate, i contatti con i familiari. Queste, questioni anche esse delicate, sono da valutare da caso a caso e riguardano anche lo stile personale del terapeuta. È importante tener presente che nel momento in cui esse si presentano devono essere regolamentate ai fini di una definizione della relazione.
( bibliografia non più disponibile)