Indimenticabile Carla, assolutamente sicura che un medico competente in floriterapia fosse più affidabile, nella scelta dei rimedi, di un consulente di floriterapia. Non ebbi il tempo di approfondire il motivo di quella convinzione granitica, certo è che ben due giorni di corso con la sottoscritta non furono sufficienti a scalfirla. Sigh!

Vediamo insieme come possa sorgere l’idea che “un medico sia meglio”.

Edward Bach era effettivamente un medico specializzato in immunologia (ma nell’epitaffio volle essere ricordato come erborista), e trattò, con i rimedi floreali, pazienti che si rivolgevano a lui prevalentemente per disturbi fisici; la Floriterapia è annoverata tra le Medicine non convenzionali (che non significa debbano essere praticate da personale sanitario); dalla notte dei tempi, il medico incarna nell’immaginario collettivo una delle figure di maggiore sapienza e potere. Credo che siano tre motivi sufficienti a giustificare un simile convincimento.

Tuttavia, molti continuano a dimenticare che Bach non somministrava i rimedi sulla base dei sintomi fisici e disturbi organici ma facendo riferimento esclusivamente alle indicazioni emotive e psichiche che il paziente gli rimandava. Anche per noi consulenti di floriterapia, l’allenamento costante consiste nel mantenere l’attenzione sul piano emotivo- mentale e nel non indagare, interpretare, stabilire collegamenti, per lo più arbitrari, tra la sintomatologia fisica ed i rimedi. A maggior ragione, nel caso di clienti incentrati sui propri disturbi organici.

Bach fu uno tra i primi medici occidentali a sostenere e dimostrare il ruolo determinante degli stati emotivi nel mantenimento e nel ripristino della salute, ovvero il legame inseparabile tra mente e corpo (la sua visione spiritualizzata considerava anche l’Anima), confermato in maniera sempre più ampia ed insistente anche dalla scienza.

Chiarito ciò, l’idea che le competenze di anatomia, fisiologia e patologia di un medico aggiungano valore nella scelta dei rimedi, non solo è completamente infondata ma fuorviante.

Inoltre, ci sono buone probabilità che un medico esperto di Fiori di Bach incontri alcune inevitabili difficoltà.

La prima. Non è così scontato che un professionista con alle spalle moltissimi anni di formazione focalizzata sul corpo, sulla lettura e sulla comprensione dei sintomi organici, riesca a spostare l’attenzione dal piano fisico a quello emotivo mentale del paziente, e soprattutto ad escludere connessioni tra quest’ultimo e il corpo, che non sarebbero di nessun aiuto nella scelta dei rimedi floreali.

Per la maggior parte di noi consulenti, incompetenti in quell’ambito complesso, il problema non si pone. Quando l’ignoranza può addirittura rivelarsi una virtù!

Ma ammettiamo che il nostro medico olistico lasci da parte fegato, intestino e cattiva digestione, concentrandosi esclusivamente sugli stati emotivi classificati da Bach e sui rimedi floreali ad essi associati. Nonostante le migliori intenzioni, incapperà irrimediabilmente in una seconda difficoltà.

suzi kim by unsplash

Il medico, a causa della formazione ricevuta e del ruolo ricoperto nei secoli, ha imparato ad instaurare e mantenere un rapporto gerarchico con il paziente, in cui egli è colui che sa, perciò detiene il potere, mentre il paziente è relegato nella posizione passiva di colui che aspetta diagnosi e soluzioni.

In un certo senso, è assolutamente funzionale che sia così. Il medico non può certo impiegare il tempo prezioso, a volte troppo fugace, di una visita, spiegando i perché ed i per come dei malfunzionamenti del corpo umano (ammesso e non concesso che il paziente sia interessato ed in grado di raccapezzarcisi). Quindi una volta raccolti gli elementi utili, basandosi sull’osservazione, molto sulle proprie conoscenze ed all’ascolto del paziente, si appresta alla diagnosi ed alla prescrizione della cura.

Se ripenso ai due medici che nel corso degli anni mi hanno prescritto dei Fiori di Bach, una mediante colloquio, l’altra grazie ad un macchinario, ricordo in entrambi i casi un atteggiamento sbrigativo e assolutamente non paritario. Insomma, il solito “io so e tu non sai” che abbiamo tutti presente. I fiori da prendere sono questi. Stop.

Quand’anche la prescrizione fosse adeguata, è molto difficile che in condizioni simili la persona possa diventare più consapevole di sé, delle proprie emozioni e magari possa cominciare ad attivare un processo di cambiamento, senz’altro catalizzato dai rimedi, ma anche dalla propria consapevolezza ed intenzioni.

Ancora una volta, il potere resta nelle mani del medico ed il paziente subisce la cura. Ancora una volta, il paziente diventa complice di un meccanismo depotenziante in cui delega a qualcun altro la responsabilità del proprio benessere. Un meccanismo che in fondo, in ambiti diversi, la maggior parte di noi ha assecondato e continua ad assecondare senza rendersene conto, per tutta la vita.

Perché possa emergere, la consapevolezza ha bisogno di uno spazio di ascolto, di un tempo, di una cura particolare, del coinvolgimento della persona, della sua partecipazione nell’individuazione delle proprie emozioni, come anche nella scelta delle direzioni da prendere tramite i rimedi.

Tutto questo avviene durante una consulenza di floriterapia basata sul colloquio, in cui il consulente (che è allenato all’ascolto, al coinvolgimento ed al rispetto dell’altro) accompagna il cliente, mantenendo il suo passo e non imponendo il proprio. Sceglie i rimedi con il cliente e non al suo posto.

erik torres by unsplash

Il consulente lavora affinché la persona, acquistando consapevolezza di sé e fortificando le sue qualità personali, riconquisti il proprio potere.

In definitiva, la scelta non è tra medico floriterapeuta e consulente di floriterapia, ma tra farsi curare ed imparare a prendersi cura di sé.

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